Alla mostra viene esposta una folta raccolta di 200 stampe, fra colori e bianco e nero, nonchè diverse registrazioni audio originali con la voce di Vivian Maier. Negli spazi del Belvedere della Reggia di Monza vengono proiettati filmati Super 8 inediti, offerti al grande pubblico per la prima volta proprio in occasione di questo ricco allestimento.
La generosa proposta di fotografie ci invita a seguire i passi di Vivian Maier attraverso le città dove ha vissuto e ad immergerci nelle strade delle metropoli statunitensi coinvolte nelle grandi trasformzazioni sociali e politiche della metà del ‘900.
Vivia Maier trovò ancora prima di averla cercata la propria immagine riflessa sugli specchi come nelle vetrine dei negozi. Solo poi, negli studi successivi, rincorse la proiezione della sua ombra su diverse superfici, in un gioco di chiaroscuri e paradossi che permette di intuire il suo personale desiderio di “trovare un posto nel mondo”, di fermarsi, dare un luogo ad un’anima.
La biografia della fotografa parla di una donna che fu migrante senza patria, nè americana nè francese, un essere umano con le radici in spalla e, probbilmente, il desiderio di posarle a terra.
Il suo sguardo nudo, ripreso negli autoritratti, sembra far emergere l’esigenza di risconoscersi parte di qualcosa, di un momento, della gente attorno a lei, della città; sembra voler dire “sono qui, sono io”. Vivian Maier sembra fermare l’istante per fermare una esistenza ricca di interrogativi.
La fotografa ci accompagna come spettatori silenziosi e nascosti nel viaggio per le strade di Chicago, nei paesi della provincia francese, sui volti di un’umanità tanto varia quanto familiare. Ha colto il mondo attorno a lei con ironia, gioco, umorismo e bellezza.
In ogni scatto si possono riconoscere l’atmosfera ed il sentimento dei soggetti senza bisogno di mediazioni o sovrastrutture. La prospettiva della fotografa è trasparente, nitida, esatta quanto le sue immagini.
Attraverso una rara capacità di osservazione ha saputo leggere e registrare i più delicati giochi di luce. Nei riflessi sugli specchi si sono aperti scrigni di emozioni che hanno riverberato nel sentire universale di ciascuno, hanno pescato nell’universo emotivo della collettività, in un alfabeto comune a tutti. Ogni immagine ha offerto un racconto nel quale chiunque poteva intuire il momento precedentre e quelllo successivo allo scatto o forse, più semplicemente, Vivian Maier aveva offerto uno spunto per dialogare con lei e offrire una cornice personale alla realtà.
Lontano dalla morbosità per i dettagli più sfocati della sua biografia possiamo ricostruire l’artista grazie ai suoi scatti, leggerne la ricchezza, la sua sensibilità, l’emotività in grado di distinguere ogni più sottile sfumatura. La capacità di registrare il bagliore di un’intenzione o la suggestione di un contatto, uno sfioramento, attraverso l’implacabilità di un istante.
La passione ed il talento hanno guidato un’autodidatta, Vivian Maier, ad anticipare intuizioni sulla fotografia che, solo in seguito, professionisti dell’immagine hanno ritrovato nella loro ricerca. Ritrattista, fotografa di paesaggi urbani, videomaker ha sperimentato e contribuito ad arricchire il mondo delle immagini e della pellicola.
La fotografa è stata una donna, una ricercatrice, un’appassionata, un talento autentico e una persona reale. Non ha mai cercato la notorietà nè ha subito la pressione del riconoscimento, si è lasciata condurre dalla passione l’ha seguita senza resistenzea fino alla fine.
Vivian Maier ha vissuto fuori dal sistema artistico e straordinariamente dentro alla realtà.