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Un soldato di Magnago (Milano), Mario Mainini, in un lager di “Eutanasia decentralizzata”. Dopo 78 anni la famiglia, la seconda in Italia dopo quella di un IMI teramano, conosce la tragica fine

L’importante scoperta è stata fatta dalla ricercatrice storica, prof.ssa Silvia Pascale, in collaborazione con il collega Orlando Materassi, con cui da anni conduce questi studi, la quale ha comunicato alla famiglia, documenti alla mano, dopo quasi 80 anni dalla vicenda, la verità sulla sorte del soldato caduto Mario Mainini, classe 1914.
Alla famiglia era stata ufficializzata una generica morte “per malattia” in data 7 marzo 1945, a pochi giorni dal compimento del 31esimo anno d’età del magnaghese. La realtà, purtroppo, è diversa e più dura ed è stata appresa da uno dei parenti più prossimi, il dottor Gaetano Peroni, 89enne marito di Rosita Mainini, nipote di Mario.
Il dottor Peroni, con la Prof.ssa Pascale, si rende disponibile per interviste con la stampa.
Il soldato Mario Mainini, nato a Magnago il 13 marzo 1914, era l’ultimo di tre figli e prima dello scoppio della Guerra lavorava in un’officina meccanica e aiutava il padre nei campi. Era in Grecia con il 64esimo Reggimento Fanteria quando l’8 Settembre 1943 arrivò l’annuncio dell’Armistizio: fu catturato e deportato dai nazisti in Germania e condivise la sorte di internato militare con altri 800mila soldati italiani. Scelse l’internamento all’adesione alla Repubblica di Salò. Non tornò in Italia, morì da internato insieme ad altri 50mila IMI dei 650mila che non aderirono a Salò.
Mainini, dalla Grecia, arrivò nel campo di lavoro nazista di Limburg, in Assia, a metà strada tra Francoforte e Bonn, e divenne uno schiavo di Hitler in una delle fabbriche belliche della zona. Ammalatosi di tubercolosi polmonare fu ritenuto “indesiderabile” all’interno dell’organizzazione nazista e trasferito nella clinica di Hadamar, tristemente nota per essere tra i siti del programma di eutanasia Aktion T-4, dove venivano anche praticate sterilizzazioni, amputazioni, sperimentazioni di farmaci. Oggi è un ospedale tedesco, ma fu un centro di sterminio per l’eliminazione delle vite indegne di essere vissute: negli archivi la lista di decine di altri italiani.
Mainini il 7 marzo 1945 fu dichiarato morto per malattia, ma in realtà era stato usato come cavia per gli esperimenti dei nazisti proprio ad Hadamar. Questo luogo, dove dal 1942 non venivano eliminati solo i disabili fisici o psichici, ma anche lavoratori forzati, prigionieri di guerra e IMI, come Mario Mainini, che si trovavano nelle condizioni di non essere più utili, per una beffa del destino, verrà liberato dall’esercito americano quasi a 20 giorni dalla sua morte, il 26 marzo 1945.
Essere riusciti a contattare in poco tempo il parente più prossimo dell’IMI Mario Mainini di Magnago è stato possibile grazie alla preziosa collaborazione del settimanale Settegiorni. Ciò ha permesso di squarciare il velo dell’oblio che avvolgeva la sua morte, 80 anni dopo quei tragici eventi. Il lavoro di ricerca continua e si spera a breve di rintracciare i famigliari di altri IMI che con Mainini hanno condiviso la stessa triste sorte.
La famiglia del soldato Mainini è la seconda in Italia, dopo quella dell’IMI di Teramo Dario Cosmi (la cui vicenda è stata pubblicata nel volume “Dispersi di guerra” di Pascale-Materassi per Editorale Programma, uscito nel Giorno della Memoria 2024 https://editorialeprogramma.it/shop/storia/dispersi-di-guerra/), a venire a conoscenza della tragica fine del proprio caro, grazie al meticoloso lavoro di ricerca che Silvia Pascale, a sua volte nipote di IMI e presidente della sezione di Treviso di ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati), conduce da oltre un decennio sull’argomento degli internati con Orlando Materassi. Attualmente entrambi, insieme ai soci di Treviso, sono impegnati su questa nuova pagina dell’importante progetto storico-scientifico sugli IMI che sono stati uccisi nei cosiddetti centri di “Eutanasia decentralizzata” come Hadamar.
L’impegno per la Memoria non si conclude qui. Come per Cosmi di Teramo, in collaborazione con le istituzioni locali e le famiglie stesse, l’obiettivo è rendere il giusto omaggio a tutti gli IMI che fino al sacrificio della vita hanno dato il loro contributo nella lotta di Resistenza al regime nazifascista.
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