Talent Trends 2023, l’ultima indagine mondiale di PageGroup: è il momento della Rivoluzione Invisibile
Uno studio condotto su un campione di circa 70.000 lavoratori in 37 mercati del mondo svela un quadro molto chiaro: è in atto una rivoluzione culturale del lavoro che ribalta il paradigma, mettendo i migliori talenti in posizione di vantaggio. Le aziende dovranno, necessariamente, adeguarsi a questo nuovo modello. Cinque punti chiave per ridisegnare la propria strategia.
69.532 (di cui 5.746 in Italia). Sono questi i numeri di Global Talent Trends 2023, l’indagine – su scala mondiale – condotta dalla società internazionale di recruiting PageGroup. Nel nostro paese, la maggior parte dei partecipanti ha un impiego full-time (66%), ma ci sono anche imprenditori, lavoratori autonomi o professionisti (10%) e disoccupati in cerca di lavoro o impiegati part-time (6%). A livello di anni di esperienza, invece, possiamo affermare che la metà dei rispondenti lavora da più di 5 anni, il 22% ha iniziato un nuovo lavoro nel biennio 2020-2021 e il 21% nel 2022. Solo il 7%, infine, ha intrapreso una nuova avventura professionale poco prima della pandemia.
In un mercato sempre più candidate-driven, sono 5 punti chiave che emergono per ridisegnare la propria strategia di talent retention.
- I professionisti europei sono aperti al cambiamento: la loyalty aziendale ha perso appeal. In Europa, la maggior parte dei dipendenti è aperta a valutare nuove opportunità di carriera, indipendentemente dall’età, dal sesso, dal ruolo attuale e dal settore. Il 92% degli intervistati in Italia prenderebbe in considerazione l’idea di cambiare lavoro e il 59% lo sta cercando attivamente.
“L’attenzione verso la vita privata e la necessità di flessibilità – spiega Tomaso Mainini, Senior Managing Director Italia & Turchia di PageGroup – sono aumentate. Questo ha fatto sì che la fedeltà nei confronti dei datori di lavoro quasi non esista più, o comunque sia ormai un’eccezione. Oggi i professionisti specializzati possono valutare e confrontare più offerte, una situazione che raramente si verificava in passato. Le persone non si aspettano più di rimanere a lungo nella stessa azienda e vogliono che il loro datore di lavoro pianifichi e condivida un percorso di carriera che permetta alla loro professionalità di evolversi e crescere. Altrimenti, come abbiamo visto, non esitano a rivolgersi altrove”.
- La grande contraddizione: si cambia anche se si è soddisfatti. L’apertura dei dipendenti italiani al cambiamento non è dovuta solo all’insoddisfazione per il proprio lavoro: il 37% intervistati è infatti soddisfatto delle proprie mansioni e 1 su 2 del proprio anche dello stipendio attuale. Tuttavia si è disposti a cambiare per cercare opzioni migliori e solo l’8% degli italiani non si farebbe tentare da questa opportunità.
“Questo – aggiunge Tomaso Mainini – è un segnale che può sorprendere i datori di lavoro, e che ci ribadisce come sia sempre più difficile attrarre e, soprattutto, trattenere i talenti, anche quelli soddisfatti. I dati dimostrano che nella coscienza collettiva è avvenuto un profondo cambiamento nei confronti del rapporto con il lavoro, che non rappresenta più una priorità e/o una fonte di realizzazione personale. I professionisti di oggi desiderano un equilibrio tra lavoro e vita privata molto più concreto e sono alla ricerca di esperienze e opportunità per acquisire competenze, piuttosto che un lavoro a lungo termine. Questo spiega anche perché molti siano aperti a nuove opportunità, indipendentemente da quando hanno iniziato il loro ultimo lavoro”.
- La retribuzione resta il driver del cambiamento. In questa nuova realtà, lo stipendio è la motivazione che più influisce nella scelta di cambiare lavoro. I candidati si aspettano una retribuzione equa e commisurata alla loro esperienza e posizione. Il 57% dei professionisti dichiara che il pacchetto retributivo è l’informazione più rilevante in un’offerta di lavoro.
“Naturalmente – spiega ancora Mainini – la motivazione dei dipendenti è influenzata in modo significativo dalla situazione economica attuale che, non solo non indebolisce la volontà di cambiare, ma stimola la ricerca di uno stipendio che compensi le difficoltà e l’aumento dell’inflazione. È essenziale, dunque, rivedere costantemente le retribuzioni per allinearle alle medie dei ruoli e dei settori anche perché quasi il 90% (l’88%, per la precisione) non chiede un aumento di stipendio prima di dimettersi. Concentrarsi su ciò che conta di più per ottenere un vantaggio competitivo è la chiave per affrontare questa nuova realtà e non perdere i migliori talenti”.
- La carriera di successo non è la priorità: l’equilibrio tra lavoro e vita privata non è più negoziabile. Per quanto riguarda la soddisfazione per l’attuale posto di lavoro, l’elemento principale è rappresentato dall’equilibrio tra lavoro e vita privata (56% degli intervistati in Europa e 59% in Italia). Ben 8 persone su 10 danno priorità al work-life balance rispetto al successo professionale. Solo il 27% degli italiani, però, rifiuterebbe una promozione se ritenesse che possa avere un impatto negativo sul proprio benessere (contro il 54% dei professionisti europei).
- La flessibilità non è un benefit, ma un must-have. La flessibilità – intesa come possibilità di orari flessibili (per il 71%) e di lavoro ibrido (per il 77%) – è uno degli elementi fondamentali per i lavoratori di ogni fascia di età. “Oggi – conclude Tomaso Mainini – le persone mettono al centro il proprio valore e quasi nessuno è più disposto a sacrificare il proprio benessere. Anzi, un numero sempre maggiore di candidati valuta il proprio lavoro sulla base di una chiara equazione di valore: stipendio + crescita professionale + flessibilità. È su questi tre pilastri, ormai imprescindibili, che vanno costruite le fondamenta della cultura aziendale”.