Nella trascuratezza degli affetti e nella più feroce indigenza nacque Nardina, al secolo Leonarda Cianciulli, a Montella, in un paese dell’Irpinia, sul finire dell’800 e più precisamente il 14.04.1894.
Il contesto era quello di una comunità rurale afflitta dalla povertà come gran parte del meridione.
A pochi decenni dalla riunificazione d’Italia le campagne affogavano nell’indigenza, erano trascinate a picco dal peso di profonde ingiustizie sociali, piagate dal brigantaggio e dallo sfruttamento dei mezzadri.
La popolazione era oppressa da una miseria buia e sconfinata, e la sensazione di sconfitta e ineluttabilità spingevano a cercare ragioni là dove non ce n’erano.
Il futuro, in quell’angolo di universo che era la campagna irpina, non si affacciava mai e, nell’indifferenza del destino, le ferite e le speranze, le vendette e i successi sembravano essere governati da leggi imponderabili, magiche, persino da presenze sovrannaturali.
La madre di Leonarda, la signora Serafina Marano, vedova e con due figli a carico, provvedeva al sostentamento della famiglia alternando le attività di fattucchiera a quelle di prostituta.
Nei compromessi che la povertà sigla con i destini degli ultimi Serafina dovette accettare un’unione riparatrice a seguito della violenza subita dal sig. Mariano Cianciulli, allevatore di bestiame, che pagò il debito d’onore contraendo con lei il vincolo del matrimonio.
Nacque così, da un abuso, la piccola Leonarda, figlia di secondo letto di una madre vittima di stupro.
L’infanzia fu infelice e segnata dai primi disturbi di natura psichiatrica nonché dalla totale assenza di calore familiare.
La madre non riuscì mai a distinguere il dolore per la violenza subita dal frutto che generò, la sua bambina.
La distanza emotiva se non addirittura il rifiuto segnarono gravemente la personalità di Leonarda che sentì immediatamente l’ombra di un destino avverso e malevolo sovrastarla.
Leonarda crescendo dimostrava un carattere insolito, anticonformista, sfacciato e particolarmente avverso alla legge e all’autorità.
Divenuta adolescente, a soli 14 anni, la madre la iniziò al meretricio e la sua natura disinvolta, sfrontata e irriverente si esacerbò portandola a sperimentare una confidenza sempre più stretta con il crimine.
A diciotto anni fu condannata per furto e truffa, si macchiò anche del reato di aggressione e la sua insofferenza nei confronti delle regole divenne uno stile di vita.
In paese era nota per il suo carattere e per la sua propensione a delinquere.
Raggiunta l’età per convolare a nozze, la madre era intenzionata a combinarle il matrimonio con un cugino benestante ma Leonarda si oppose e, poco più che maggiorenne, sposò un impiegato del comune, Raffaele Pansardi.
L’affronto di Leonarda nei confronti della famiglia suscitò una profonda rabbia in Serafina che, il giorno prima delle nozze, la maledisse scagliandole addosso un anatema: “Ti mariterai, avrai figliolanza ma moriranno tutti i figli tuoi”
Leonarda in effetti restò incinta tredici volte ma abortì spontaneamente durante tre di queste gestazioni mentre per le restanti dieci gravidanze dovette arrendersi all’orribile sorte di dare alla luce i bambini ma di trovarli, ogni volta, morti nella culletta a poche settimane dalla nascita.
La sua straordinaria fecondità sembrava schiantarsi contro il destino sciagurato profetizzato dalla madre.
Pensò allora di rispondere alla malasorte aprendo un dialogo con le stesse forze oscure che le erano state cucite addosso dalla genitrice e si recò da una signora che aveva fama di annullare i malefici. Con il suo aiutò riuscì a procreare ancora e ad allevare altri quattro bambini.
In quegli anni, come ammise lei stessa, si dedicò allo studio dello spiritismo, della magia e della cartomanzia.
Nel 1930 il terremoto di Volture distrusse la casa di famiglia e, con il marito, decisero di trasferirsi a Correggio dove al marito venne garantito il lavoro.
Il suo matrimonio naufragò.
Con il danaro ricevuto come risarcimento Leonarda intraprese una attività di vendita di abiti usati che le diede un certo benessere economico riuscendo a garantire un percorso di studi ai figli.
A Correggio, grazie alla sua attività e alla esuberanza non priva di originalità, si costruì una credibilità che nel suo paese natio non era mai riuscita a consolidare.
Fra il 1939 ed il 1940 tre donne diventarono amiche e clienti di quella donna così vivace e determinata, dal carattere molto particolare capace di infondere sicurezza e sollievo in anime divorate dalla solitudine come le loro.
Arrivò il secondo conflitto mondiale.
Il primo degli adorati figli viene chiamato alle armi e la possibilità di vederlo perire in guerra incendiò l’immaginario di Leonarda, popolato di paure ancestrali e credenze irrazionali, facendole trovare una risposta violenta e intrisa di superstizioni antiche. Credette di spegnere l’ingordigia della malasorte pagando con il sangue il tributo di vita che veniva chiesto ancora una volta alla sua discendenza.
Pensò che il sangue paga il sangue e che per la salvezza di una vita si debba sacrificarne un’altra.
Leonarda aveva tre figli maschi e le vittime furono tre donne sole che in lei cercavano sostegno, assistenza e un rifugio benevolo confortato dall’intercessione di riti magici.
Fra il 1939 e il 1940 uccise Faustina Setti, Clementina Soavi, Virginia Cacioppo.
Gli omicidi avvennero nella sua abitazione secondo un rituale preciso.
Invitava le vittime per un saluto alla vigilia di un grande cambio di vita da lei stessa ingannevolmente tramato, una volta accolte e accomodate in cucina le assaltava con un’ascia, da dietro, le colpiva con fendenti che ne causavano la morte istantanea. I corpi senza vita li trascinava in cantina per poi appenderli e lasciar colare il sangue in profondi contenitori.
Scioglieva le membra con soda caustica ed essenze odorose in un pentolone, portava la carne e il grasso in ebollizione finchè non si generava un impasto cremoso e profumato con il quale realizzava saponette vellutanti.
Il sangue, una volta secco, lo polverizzava e e lo mescolava con la farina, uova e latte per farne biscotti da offrire ai figli.
I ragazzi dovevano mangiare i resti delle vittime martirizzate per regalare una possibilità di vita a loro.
La cognata di una delle vittime, insospettita dalla repentina irreperibilità della parente e dalla scomparsa di alcuni beni, fece denuncia in questura e dopo una iniziale resistenza da parte delle forze dell’ordine iniziò un’indagine che si concluse brevemente con l’arresto nel 3 marzo 1941.
Leonarda venne inizialmente condannata all’ergastolo con indicazione di scontare i primi tre anni presso un manicomio criminale. Leonarda non uscì mai dall’ospedale psichiatrico e scontò l’intera pena presso quella struttura.