Ugo Mulas nacque il 28 agosto del 1928 a Pozzolengo, altipiano attualmente circondato da dolci colline e generosi vigneti che nel 1859 fu teatro dell’ultimo atto della battaglia di San Martino. In quel terrazzo naturale collisero con violenza l’esercito italo-francese e le truppe austriache ed il conflitto prese fuoco prima nei petti, sotto le giubbe, nei cuori accesi della fanteria e poi sul campo di guerra.
Ugo, terzogenito di cinque, figlio di Pasquale Mulas, maresciallo dei carabinieri, e Carmela Nicolodi aveva origini che si perdevano da parte paterna nell’isola di Sardegna, luogo di leggende e creature mitologiche, terra di giganti che avevano plasmato le rocce sul confine dell’universo per dare strada ai passi e polvere alle orme mentre da parte materna affondavano nel Regno di Re Laurino, il Trentino. Sul confine immaginario di due opposti si era alimentata l’originale purezza di un temperamento curioso, meticoloso e attento, era nato l’occhio raffinato di un pensatore.
In una insolita quanto perfetta geometria di corrispondenze, un mese dopo la nascita di Ugo Mulas, il 28 settembre del 1928, in Scozia, un microbiologo fece balzare il suo nome dal fondo degli elenchi delle citazioni scientifiche fino alle vette del firmamento internazionale, anzi, lo catapultò direttamente verso il nobel. Sir Alexander Fleming regalò quello che amava definire “succo di muffa” all’umanità e in cambio ottenne il podio della storia. Lui stesso affermò: “A volte si trova ciò che non si sta cercando”. Ugo Mulas visse l’infanzia e l’adolescenza fra la casa paterna e Desenzano del Garda, località che scendeva dalle colline fino alle sponde del lago, verso sud, dove la Regia Aeronautica fondò una rinomata officina attiva nello sviluppo di idrovolanti da competizione che ebbe l’onore e il merito di produrre esemplari che tutt’ora vantano un primato di velocità.
Ugo Mulas, dopo aver concluso le scuole superiori, si trasferì a Milano nel 1948 per frequentare l’università. Lavorò come precettore per mantenersi gli studi e, nel 1951, si iscrisse ad un corso serale di nudo all’Accademia di Brera dove conobbe i pittori Gianni Dova e Roberto Crippa.
Non si laureò mai, diede tutti gli esami ma abbandonò la facoltà prima di ultimare la tesi.
Capì che quel traguardo, gli studi in legge e la carriera non erano per lui, detestava l’idea di invecchiare in un ufficio sepolto dalle scartoffie.
Decise allora di rischiare tutto e cambiare strada a costo del fallimento, a costo di ritrovarsi con la vita rovesciata dalle mareggiate della miseria. Senza salvagente si gettò nel mare aperto dell’esistenza e cercò la sua fortuna.
La famiglia d’origine, soffrì enormi sacrifici per consentirgli una buona formazione scolastica ma non potè permettersi di sostenere la realizzazione di una vocazione instabile quanto capricciosa come quella artistica; del resto Ugo non si aspettò mai, né mai attese, quell’ aiuto.
Iniziò a lavorare come caricaturista e divenne giornalista per un’agenzia. Nel frattempo iniziò a frequentare il Bar Jamaica, una latteria dal nome particolarmente esotico, forse ispirato al film di Alfred Hitchcock, dove conobbe artisti bizzari quanto straordinari, dove si perse in pomeriggi di conversazioni e confronti, bevute e risate, dove scelse di mescolarsi all’atmosfera vivace e creativa del locale e del quartiere circostante, Brera.
Fra i tanti conobbe Mario Dondero che divenne suo grande amico nonchè socio.
Di quel periodo disse: “Ero uno studente, bivaccavo quasi sempre in quella specie di caffè che era allora il Jamaica, una latteria dove si riunivano dei pittori. Qualcuno m’ha prestato una vecchia macchina e mi ha detto: – Un centesimo e undici al sole, un venticinquesimo cinque-sei all’ombra – E io, con un’enorme diffidenza, ho preso in mano questa macchina”
Da quel giorno iniziò il suo futuro.
Fra i tavoli del Jamaica capì, prima di altri, di trovarsi nel bel mezzo di un flusso storico, di una rivoluzione culturale, di una società che andava documentata.
Iniziò la carriera di fotoreporter e scelse di spingere quel mestiere oltre la frontiera di mera rappresentazione della realtà, di presa dell’istante irripetibile. Ugo Mulas scelse di fissare nell’immagine fotografica un pensiero, una riflessione, una visione che nasceva nell’intimo dell’operatore e si riversava dopo nello scatto. In termini formali prediligeva immagini pulite, essenziali, senza sovrastrutture. Lui cercava una essenzialità di forma e pensiero.
Nella fotografia di opere d’arte, che lo rese celebre, scelse di registrare ciò che l’artista esprimeva nella realizzazione dell’opera, cercò di catturare l’unicità del gesto, il percorso di realizzazione che rendeva quel determinato lavoro creativo l’opera d’arte che sarebbe diventata. Il suo lavoro non era solo ottico ma soprattutto mentale.
In un continuo flusso di scoperta e ricerca Mulas giunse, di ritorno dall’America negli anni ’70, alla consapevolezza che il suo ruolo si era spostato da osservatore a creatore, da abile interprete di ciò che veniva espresso ad autore di nuove espressioni, dalla capacità di inquadrare in modo originale la realtà alla creazione di una realtà personale. Setacciò i significati e gli strumenti del suo lavoro ed intuì che probabilmente, per tutta la vita, aveva cercato di specchiarsi nell’opera di altri per scoprire qualcosa di profondo che si agitava nel suo animo.
Decise allora di ripartire dallo strumento fotografico, dagli acidi, dalle singole parti di macchina per giungere all’origine del linguaggio delle immagini. Sezionò la materialità della fotografia per raggiungerne l’anima. Il soggetto principale della sua ricerca fu la pellicola.
Mulas attraverso questo intensissimo lavoro di ricerca e scoperta consacrò il suo talento all’arte, scoprì d’essere molto più di un fotografo, capì d’essere sempre stato un artista che utilizzava la macchina fotografica come strumento espressivo.
Un giorno il destino consegnò fra le mani di Ugo Mulas una macchina fotografica con la disattenzione e la leggerezza dei colpi di genio, quelli che squarciano il cielo come fulmini nelle notti d’estate. Sono baleni che arrivano così, dal nulla e senza preavviso, da un punto perso nell’oscurità per spezzare l’orizzonte e poi buttarsi giù alla cieca sulla terra. Il destino raggiunse quell’ uomo in un pomeriggio oridinario senza attese perchè aveva in mente di realizzare qualcosa di più grande di una perfetta sincronia, stava creando un artista concettuale: Ugo Mulas.
Morì nella città di Milano il 2 marzo 1973.