Il mondo del vino non conosce soste, si guarda sempre avanti: alla prossima vendemmia, agli assemblaggi, agli imbottigliamenti. Ecco allora che suona quasi scontato raccontare che una tenuta abbia deciso di impiantare delle nuove vigne. Eppure, in un periodo come questo è un segnale importante. Di ripartenza, ma non solo. “È la prova della fiducia incondizionata che riponiamo nel nostro territorio”, rivela Francesca Seralvo, terza generazione alla guida di Tenuta Mazzolino, piccolo clos di Borgogna in Oltrepò, dove da più di quarant’anni si lavora in vigna, soprattutto, e in cantina per esaltare la ricchezza enoica di questa terra lombarda a ridosso dell’Appennino. “Abbiamo deciso di impiantare nuove vigne di Pinot Noir e di Chardonnay, due ettari contigui alle vigne già esistenti, in quella che è denominata la Valle dei Prati, proprio qui dove “fiorisce” il nostro metodo classico, in quest’area circondata da un bosco che protegge le vigne con la sua ombra”.
Due appezzamenti che guardano a nord con un terreno particolarmente gessoso, come lascia intuire il toponimo della vicina Oliva Gessi, piccolo borgo antico che porta nel nome la sua storia: qui già nel 1500 si produceva olio di oliva e nel sottosuolo ancora oggi si rivelano depositi gessosi a riprova di come la Lombardia nell’antichità si trovasse sotto il livello del mare. “Il gesso è una roccia sedimentaria calcarea di origine marina”, spiega Stefano Malchiodi, enologo e agronomo della cantina, con un’innata propensione per la geologia, esperto di carotaggi, per conoscere le stratificazioni dei terreni dove le “sue” vigne prendono vita. “Il terreno gessoso è quello delle zone dello Champagne – Côte des Blancs in primis – per intenderci. Ed è il tipo di terreno da cui nascono uve dall’inconfondibile finezza. La sua porosità lo rende un vero e proprio serbatoio d’acqua, garantendo alle piante un apporto idrico adeguato anche nei periodi di grande siccità. È sempre incredibile osservare come le radici si concentrino proprio intorno alle vene gessose”. La zona perfetta per il metodo Classico, da Pinot Noir e da Chardonnay.
Non è stata casuale neanche la scelta dei cloni da impiantare. “Per il Pinot Nero abbiamo optato per il clone 386, anche conosciuto come ‘Pinot Moret’ “, spiega Malchiodi. “Selezionato in Champagne negli anni 70, è il clone da metodo classico per antonomasia. Denota un’ottima capacità di conservazione dell’acidità, della finezza e della freschezza. La buccia, leggermente più spessa, lo rende naturalmente resistente alle muffe: caratteristica fondamentale nelle vigne per il metodo classico, perché solitamente più fresche e ombreggiate”.
Per lo Chardonnay è stato invece scelto il clone 95, un altro super classico. “Poco produttivo e serio è in assoluto il clone più qualitativo per lo Chardonnay”, lo definisce Malchiodi. “Per nulla aromatico e quindi molto fedele alla lettura del suolo in cui viene messo a dimora”.
Un doppio nuovo impianto – Pinot Noir e Chardonnay – che rafforza la scelta della Tenuta di Corvino San Quirico di scommettere sulla qualità dei vini a partire dalle decisioni prese in vigna. Una conferma della fiducia verso il territorio, ma anche un riscontro della crescente importanza qualitativa del Metodo Classico in Oltrepò Pavese.