Enrico Baj, classe 1924, nacque il giorno 31 ottobre, a Milano, a poche settimane dal primo annuncio radiofonico trasmesso ufficialmente in Italia dalla URI “A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buona sera. Sono le ore ventuno del 6 ottobre 1924”. Nello stesso anno, in primavera, la storia bussò alle porte del Regno d’Italia e, dietro l’uscio, trovò un uomo che si preparava a forzare con una violenta sterzata la direzione dell’umanità. L’Italia nella parentesi storica fra i due conflitti mondiali si dissetava alla corrente della radio a valvole, si ubriacava di progresso e si abbandonava alla promessa del futuro. Enrico nacque in una famiglia borghese, figlio primogenito di una coppia di ingegneri, i signori Angelo Baj e Maria Luisa Restelli. La madre fu una delle prime donne a laurearsi al Politecnico di Milano e questa nota biografica fa supporre che il suo carattere fosse un concentrato di caparbietà e indipendenza. Nonna Ines, pittrice dilettante, fu il tramite attraverso il quale Baj si accostò all’arte. Nei suoi ricordi d’infanzia l’emozione della prime pennellate sulla tela, i colori dei paesaggi e l’incontro con il suo talento puro.
Diplomato al Liceo classico si iscrisse alla facoltà di medicina alternando gli studi universitari alle frequentazioni di giovani artisti ispirati ed eclettici, facenti parte del panorama culturale di quegli anni. Instaurò legami di amicizia con Gianni Dova e Alik Cavaliere, quest’ultimo figlio di un amico del padre Angelo.
Nel 1943 fu sfollato a Gavirate, insieme alla famiglia, e l’anno successivo si trasferì a Ginevra come rifugiato militare. Nella città svizzera ebbe l’opportunità di vedere con i propri occhi le opere di artisti come Giacometti, Braque e Picasso e di farsi contaminare dalla loro potenza comunicativa. Fu catturato dalla contemporaneità del linguaggio e dei contenuti. Alla vista di Guernica, l’ opera celeberrima di Picasso, l’avanguardia germinò nel suo immaginario e tracciò le prime impronte verso una nuova destinazione, il suo destino.
Rientrato con la famiglia a Milano, interruppe gli studi in medicina per iscriversi all’Accademia di Brera. Sotto pressione dei genitori affiancò agli studi artistici a quelli in Legge.
Si laureò in giurisprudenza e per un breve periodo esercitò la professione di avvocato. Dopo un paio di anni abbandonò la carriera forense per dedicrasi completamente all’arte ed aprì il suo studio nella casa di famiglia.
Nel frattempo l’Italia, uscita dal secondo conflitto mondiale, era sostanzialmente percorsa da due correnti artistiche contrapposte, la prima legata allo stile e ai valori dell’arte del ventennio e l’altra ispirata dalle nuove avanguardie provenienti d’oltreoceano. L’asse di influenza delle nuove avanguardie si era spostata dall’Europa a New York dove erano confluiti molti arstisti in fuga dai conflitti bellici.
Negli anni’50, Enrico Baj e Sergio Dangelo, scrissero il manifesto dell’Arte Nucleare, un movimento che si pefiggeva di esprimere un linguaggio nuovo e autonomo che si discostasse sia dal realismo che dalle astrazioni materiche dell’Informale così come dallo Spazialismo.
L’esperienza della bomba atomica, delle nuove scoperte scientifiche, suggestionarono gli intellettuali dell’epoca e anche l’arte ne fu contaminata.
Dal Manifesto di Arte Nucleare:
“I nucleari vogliono abbattere tutti gli ‘ismi’ di una pittura che cade invariabilmente nell’accademismo. Vogliono reinventare la pittura disintegrandone le forme tradizionali. Nuove forme dell’uomo possono essere trovate nell’universo dell’atomo e nelle sue cariche elettriche. Non siamo in possesso della verità che può essere trovata solo nell’atomo. Siamo coloro che documentano la ricerca di questa verità[…] La forza di gravità non appesantirà più le nostri menti e non ci riporterà a terra perché è stata sconfitta dall’arte nucleare, un supercarburante atomico per i nostri voli interplanetari.”
Enrico Baj fu artista e anarchico, giocoliere e letterato, anticonformista e studioso. Per lui l’arte non fu mai esercizio formale, bensì impegno sociale, gioco serio, paradossale e grottesco, un’inesausta ricerca del liguaggio della libertà.
Al centro della cifra stilistica di Baj c’era la critica anti-borghese, la ricerca di una rivoluzione estetica, l’irripetibilità dell’opera d’arte. Il risultato di queste teorizzazioni furono i suoi ultracorpi, creature espressione della patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie.
La consacrazione internazionale avvenne fra il ’60 e il ’70 e la sua carriera non conobbe mai flessione .
Le opere di Enrico Baj si inseriscono a pieno titolo fra i capisaldi dell’arte della metà del novecento. L’Apocalisse, installazione realizzata tra il 1978 e il 1983, e i Funerali dell’anarchico Pinelli del 1972, sono la rappresentazione delle guerre, della violenza e delle catastrofi che gli uomini cercano per soddisfare la pulsione alla morte.
Fu un uomo libero e non fu mai condizionato da interessi di mercato, lottò contro il pegiudizio e si esercitò nell’arte del gioco e dell’assurdo con il suo gusto per il paradosso e il teatro.
Baj insegna la libertà per questo si consiglia la visita della mostra che celebra l’artista.
BAJ Baj chez Baj – Milano – Palazzo Reale dall’8 ottobre 2024 al 9 febbraio 2025.