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Dazi, Livolsi: Strategia Trump non funzionerà. UE Intanto guardi ad Asia e Africa

“Filiere Stati Uniti a rischio. E il mondo non finisce tra Bruxelles e Washington”

“Viviamo un’epoca in cui l’unica vera costante è l’incertezza. L’imprevedibilità di chi guida la prima economia mondiale rende difficile persino decifrare i fondamentali: il dollaro si rafforzerà o si indebolirà? Il 2 aprile sono entrate in vigore le pesanti tariffe imposte da Washington sulle esportazioni. Le nuove aliquote colpiscono tutto il mondo (tra le altre: 10% per il Regno Unito, 20% per l’Unione europea e ben 54% per la Cina). Già giorno successivo all’annuncio, le Borse sono crollate: i listini europei hanno perso 422 miliardi di euro, mentre Wall Street ha bruciato 2.000 miliardi di dollari. Tra giovedì e venerdì scorsi è stata distrutta ricchezza per 6.600 miliardi di dollari, tre volte il Pil dell’Italia”. L’attuale situazione economica mondiale e i possibili risvolti futuri nella riflessione di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A..

“La mossa di Trump- dice- rischia di far deragliare il commercio globale, ma soprattutto non aiuterà nemmeno gli Stati Uniti. Né la negoziazione con Washington, né la ritorsione simmetrica – con i nuovi dazi europei su prodotti americani che saranno comunicati il 15 aprile – sono sufficienti. Come ricordato da Francesco Giavazzi, anche la politica economica può giocare un ruolo importante. Occorre stimolare la domanda interna, rafforzare i consumi, incentivare gli investimenti pubblici e privati. Anche una gestione accorta del cambio può contribuire a contenere gli effetti dei dazi. La strategia americana difficilmente funzionerà. Pensare che le filiere globali possano essere smontate e ricostruite entro i confini degli Stati Uniti nel giro di pochi mesi è irreale. Le imprese, soprattutto quelle manifatturiere, hanno investito per decenni in catene di fornitura efficienti e integrate. Ricollocare tutto in America richiede anni, costi elevatissimi, manodopera qualificata che spesso non c’è, e soprattutto non si improvvisa”.

“Nel frattempo, però- scrive ancora Livolsi- l’Europa rischia di pagare il prezzo di questa nuova stagione di protezionismo. E lo fa con un handicap interno: l’asimmetria nei vincoli di bilancio. Alcuni Paesi, come la Germania, hanno margini fiscali e possono permettersi di aumentare il deficit per sostenere le imprese e la domanda interna. Altri, come l’Italia, devono ancora fare i conti con un debito elevato e con regole che rendono ogni intervento espansivo più difficile. La risposta europea deve essere coordinata e intelligente. Non possiamo limitarci a seguire con inerzia ciò che succede oltre Atlantico, né restare impantanati in automatismi tecnocratici. Bisogna agire, ma con equilibrio. Le banche centrali devono muoversi con flessibilità: una politica troppo restrittiva rischia di peggiorare la situazione, una troppo espansiva potrebbe alimentare inflazione. Serve prudenza, ma anche visione. Il mondo non finisce tra Bruxelles e Washington. I nuovi mercati sono altrove: nei Brics (Russia esclusa per ovvie ragioni, quindi: Brasile, India, Cina, Sudafrica), in Africa, nel Sud-Est asiatico. È lì che dobbiamo portare i nostri prodotti, la nostra qualità, la nostra intelligenza industriale”.

 

“Per avere successo nei mercati esteri non basta esportare un buon prodotto: serve un vero salto culturale. È fondamentale comprendere gusti, abitudini e immaginari locali. Prendiamo il prosecco: in Cina il vino rosso domina, mentre le bollicine non sono ancora parte dell’immaginario collettivo, anche perché il gusto frizzante non è tradizionalmente apprezzato. Tuttavia le preferenze possono cambiare. Starbucks ha aperto oltre 6.500 punti vendita in Cina, patria millenaria del tè, introducendo una nuova ritualità legata al caffè. Non ha solo venduto cappuccini, ma un’esperienza. Lo stesso deve fare l’Italia- conclude Livolsi- con le sue eccellenze. Bisogna investire in marketing, estetica, narrazione e storytelling.

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