Aziende lombarde per la democrazia, ma serve anche energia
A marzo 2020 – a pandemia appena scoppiata e con le terapie intensive che si stavano riempiendo – le proteste degli industriali lombardi contro le chiusure apparvero quantomeno stonate. A distanza di due anni il fronte degli stessi industriali si presenta, invece, compatto nel condannare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e nel sostenere il governo Draghi nell’azione di difesa della democrazia in Europa, anche se questo ha un costo per le attività economiche. Infatti, l’impatto della guerra sulla “locomotiva d’Italia” si sente, eccome. Secondo il booklet Economia a cura del centro studi di Assolombarda pubblicato ieri, le conseguenze del conflitto russo-ucraino stanno influendo pesantemente sugli scambi commerciali con i due paesi, determinando un nuovo choc sui prezzi delle materie prime energetiche (e non) e alimentando l’incertezza per imprese a famiglie. Prima dell’inizio della guerra, le stime per il 2022 delineavano un tasso di crescita del Pil lombardo del 4 per cento, che avrebbe più che bilanciato il divario rimasto ancora aperto con il 2019 (-2,9 per cento a fine 2021). Ma il perdurare della crisi bellica potrebbe ridimensionare se non azzerare la risalita del post pandemia della regione lasciando a casa quei 119 mila lavoratori che mancano all’appello, sempre rispetto al 2019. Ancora una volta, la classe imprenditoriale si trova stretta tra due fuochi. Non più salute da un lato ed economia dall’altro, ma salvaguardia dei principi democratici da un lato e business dall’altro. Rispetto al 2020 si respira, però, un clima diverso e si impara dagli errori del passato. “Oggi nessuno di noi si sogna di mettere in discussione le sanzioni utili per preservare un futuro di pace in Europa – dice al Foglio Alessandro Spada, presidente di Assolombarda – Questo, però, non vuol dire che queste stesse sanzioni siano prive di conseguenze e che non ci si debba attivare per trovare soluzioni più efficaci rispetto a quelle individuate finora per superare la crisi energetica che rischia di far chiudere molte imprese”.