Lo scorso 10 Marzo la Biblioteca Angela Piras di Mazzo di Rho e l’Associazione Gruppo Culturale Amici di Mazzo, in collaborazione con il Comune di Rho, hanno organizzato un importante evento nell’ambito del Progetto “Memoria, Impegno, Legalità”, sostenuto da Carmen Meloni e da Clelia La Palomenta, col supporto delle associazioni Avviso Pubblico, Aned, “Libera Arese e Dintorni” e “Peppino Impastato e Adriana Castelli” e portato già all’attenzione delle scuole e della cittadinanza in diverse occasioni. Presso la Scuola Secondaria “Tommaso Grossi” di Rho, si è tenuto l’incontro con la scrittrice Maristella Maggi autrice, tra le altre pubblicazioni, del libro “Quando si aprirono le porte”, alla presenza di numerosi studenti con i loro docenti, tra i quali la Prof.ssa Roberta Di Rocco, che ha sostenuto caldamente il progetto e con la conduzione di Carmen Meloni. Maristella Maggi è stata docente di Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado, occupandosi, accanto all’insegnamento, di progetti didattici legati alla lettura e alla scrittura poetica. È autrice di numerosi testi di narrativa per ragazzi, con i quali tiene diversi incontri e organizza laboratori creativi, giochi di linguistica e convivenza sociale per il festival della letteratura “Bookcity Milano”. In “Quando si aprirono le porte” l’autrice, racconta la storia di Venanzio Gibilini (scomparso qualche anno fa) e ci offre una testimonianza preziosa, accorata e dal forte valore educativo, sulle terribili esperienze dei deportati nei campi di sterminio tedeschi. Venanzio Gibillini, giovane milanese, viveva allora con la famiglia a Bruzzano, in un quartiere operaio. Viene chiamato alle armi, ma in seguito catturato perché ha abbandonato la caserma dopo l’8 settembre 1943 senza più farne ritorno. Essendo renitente viene rinchiuso prima a San Vittore e da qui trasferito al lager di Flossenbürg. All’incontro era presente anche il figlio di Gibilini, Walter, che durante il partecipativo dibattito seguito con gli studenti, ha portato dei ricordi personali sulla deportazione, narrati dal padre. Nonostante i torti, le offese e le ingiurie subite, sia fisiche che morali, Venanzio Gibilini non ha mai parlato di vendette e di rivalse sui suoi aguzzini ma, al contrario, sempre e solo di pace e di serenità tra gli esseri umani; un esempio altissimo di umanità e di senso civico e morale, da parte di una persona che ha provato direttamente sulla sua pelle, sino al limite della tolleranza, a quanto possa arrivare la cattiveria e l’odio dell’uomo nei confronti dei suoi simili. È seguita la proiezione di una video-intervista allo stesso Gibilini dove, a ruota libera, Venanzio narra come si svolgeva la sua “vita” (sembra un paradosso il verbo vivere in un lager nazista…) durante la deportazione. Quindici minuti emozionanti e toccanti, che hanno rapito i ragazzi presenti, per la crudezza delle scene mostrate. Dopo il video, Walter Gibilini ha mostrato quello che per lui è un toccante e commovente cimelio: una sorta di cucchiaio artigianale (i deportati non avevano a disposizione nulla, per cercare di dare un senso decoroso ai loro giorni…) realizzato proprio dal padre, come un riscatto personale alla repressione a alla barbarie dominante nei campi nazisti. Venanzio stesso, cita che si era ricordato per puro caso del suo compleanno, perché un compagno di deportazione aveva notato che anche novembre (il mese di nascita di Gibilini…) stava finendo; nei lager ogni ricordo personale pian piano spariva, nell’oblio delle atrocità e in attesa di una morte, spesso agognata come la fine delle torture. La Maggi ha poi letto un breve capitolo del libro, quello inerente all’arrivo al lager con il treno, in condizioni che definire “disumane” è assolutamente diminutivo. C’è stato anche un intervento di Clelia La Palomenta, l’altra coordinatrice dell’evento, sempre impostato sulla necessità di non dimenticare mai nel tempo le deportazioni di milioni di uomini e donne, a vantaggio di una folle ed inutile crudeltà. Al termine dell’incontro Carmen Meloni ha letto un toccante scritto di Gibilini, dedicato alle generazioni future, nel quale esorta i giovani a ricordare e fare memoria, sempre con il rispetto e la tolleranza nei confronti dei loro simili, perché solo con queste prerogative la vita riserverà soddisfazioni e gioie. Quasi un “testamento” morale di un grande uomo. Solo così si potrà rendere giustizia a tutti coloro che sono morti nei lager.