Il primo anniversario scelto per l’ingresso di questo 2025 è legato al successo di una canzone fuori dall’ordinario.
Il 6 gennaio 1975, andò in onda l’ultima puntata della trasmissione ammiraglia del servizio pubblico italiano, Canzonissima; la buona sorte era ingrediente dello spettacolo, non a caso, tutte le stagioni erano abbinate alla Lotteria Italia.
Il programma visse, per tutta la sua programmazione, una popolarità strabiliante e fu un grande successo.
L’indimenticata edizione 1974/1975, condotta da Raffaella Carrà, si chiuse ogni settimana con la sigla del duo Cochi e Renato “E la vita, la vita, la vita” e nell’ultima puntata, trasmessa il giorno della Santa Epifania del 1975, non finì diversamente.
Il brano divenne celebre perchè cantava un particolare stato d’animo, era un invito all’irriverenza, una celebrazione della spensieratezza e della vita; divenne così riconoscibile e caratteristica che l’eco del suo ritornello è noto a tutti a più di cinquant’anni dalla sua uscita.
Il brano spinto dalla popolarità della trasmissione si posizionò primo nelle hit parade di gennaio del ’75 e rimase in vetta fino a febbraio dello stesso anno. Qualche mese più tardi diede il nome ad un 45 giri che si posizionò fra i primi 20 dischi più venduti dell’anno.
Il brano buffo, leggero, paradossale, semplice, profondo e sornione conquistò rapidamente il pubblico, arrivò a tutti, grandi e piccini. Scovare il segreto di un colpo di genio è una inutile perdita di tempo perché la combinazione degli elementi che lo rende possibile è insondabile.
La semplicità è un talento, Cochi e Renato due fuoriclasse.
La posa seria e l’intonazione del canto stridevano con il testo, ricco di iperboli e di immagini surreali, creando negli spettatori un effetto strabiliante. Cochi e Renato con spontaneità sono stati capaci di arrivare a tutti, offrire spunti di genialità pura.
La canzone esprimeva in maniera umoristica considerazioni sul senso della vita.
Il ricorso al dialetto, non era un espediente poetico, bensì la volontà di replicare il linguaggio della società dell’epoca. Era il parlato dell’uomo qualunque, del milanese da osteria approdato alla modernità, al bar, era il linguaggio del cittadino che stava abbandonando il dialetto per parlare l’italiano.
Per questa opera di creatività pura, di genio, di gentilezza e umorismo ringraziamo gli autori e facciamo augurio a tutti che l’allegria e la spensieratezza del brano possano essere il sottofondo dei giorni di questo nuovo anno.
La vita l’è bèla…