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Recensione “Berlinguer. La grande ambizione”. Dopo la “prima” milanese, ne parlo con Giovanna Tatò

Dopo aver seguito l’anteprima milanese del film (Anteo, Palazzo del Cinema), di Andrea Segre: “Berlinguer. La grande ambizione“, che esce nelle sale italiane oggi, sono stata intervistata (in qualità di Docente di Cinematografia e Reporter della compianta e storica L’Unità) dall’amica, giornalista e scrittrice d’eccezione: Giovanna Tato’, figlia di Antonio (Tonino) Tatò (Politico, Sindacalista CGIL, Editore, Responsabile del servizio stampa e dell’ufficio studi della CGIL (1949-1968), Capo ufficio Stampa del PCI (Partito Comunista Italiano, protagonista con il Segretario del PCI, del “binomio di ferro” dal 1969 e per quindici anni, della stessa storia del PCI sino alla scomparsa del leader, avvenuta nel 1984, rappresentato secondo me “pochissimo” nel film e che avrebbe meritato una ricerca più approfondita (interpretato da Pierluigi Corallo).

Il cinema, è sempre un luogo molto intimista e di riflessione e l’atmosfera del film ne richiama assolutamente il concetto, puntando sulla figura di Berlinguer, la famiglia e la forma stilistica del docu-film, nel periodo cruciale 1973/75 e al termine, con la citazione dei funerali del 1984, con l’inserimento di immagini di repertorio (a partire dall’attentato a Salvador Allende in Cile, la strage di Piazza della Loggia a Brescia e le voci del funerale di Berlinguer a Roma, dove parteciparono più di un milione di persone per salutarlo) che mi hanno saputo trasmettere le emozioni di quegli anni, nei quali ero adolescente e già impegnata nella Politica studentesca e nell’informazione con il quotidiano L’Unità (nella mitica sede di Viale Fulvio Testi, per l’inserto Milano Lombardia).

Il film ha il suo apice narrativo all’inizio, con il racconto degli attentati al Presidente del Cile Salvador Allende e alla stessa delegazione di Berlinguer, a Sofia, (in quei giorni si parlava di “allontanamento” dalla linea politica del Partito Comunista sovietico) e soprattutto nel racconto del rapimento e uccisione da parte delle Brigate Rosse, di Aldo Moro, il Presidente della Democrazia Cristiana, che insieme a Berlinguer, progettava con grande fatica il “compromesso storico”, l’unione delle “forze popolari” per un socialismo democratico… la grande ambizione, appunto.

Fredda e composta la rappresentazione del rapporto tra Andreotti e Berlinguer e divertente la ricerca di una banconota da 50.000 lire, finita in un libro che è tutto un programma: “L’accumulazione del capitale” di Rosa Luxemburg; così come “romantici” alcuni momenti con i figli, l’acceso dibattito sulla legge sul divorzio, il successo delle elezioni e il suono della voce e delle parole in sottofondo di Berlinguer/Germano.

Sono mancate le immagini sul rapporto strettissimo con il sindacato e l’informazione del tempo, di sottofondo con alcuni flash di dibattito con i lavoratori e lavoratrici nelle sezioni di partito o in fabbrica e poche immagini di copertine.

Il titolo, azzeccatissimo, viene da una frase di Antonio Gramsci, il fondatore del Partito Comunista Italiano, che la definì indissolubile dal bene collettivo per il quale si concentrava la forza delle piazze degli anni ’70, alla quale si rivolgeva l’impegno di Berlinguer e dei componenti del partito, tentando di costruire il socialismo all’interno di una democrazia.

Il compromesso storico è sicuramente la grande ambizione del film, che richiama la vera grande ambizione di Gramsci per la “collettività”.

Nella proiezione di Milano sono mancati i lustrini e i vip della presentazione alla Festa del Cinema di Roma (alcuni sempre presenti e a sproposito) ma l’applauso dei presenti nelle due sale di proiezione è stato veramente sentito e qualche lacrimuccia è uscita a tutti quelli delle generazioni “boomer”…

Da “critica”, mi sento di dividere la bravura dell’attore protagonista (Elio Germano), che ha vinto il premio Gassman alla Festa del Cinema per la sua interpretazione, che era presente all’anteprima milanese con il regista Andrea Segre (per una lezione di Cinema e il commento finale alla presentazione), con la rappresentazione umana del Segretario Berlinguer e la parte più “storica”.

Le emozioni più grandi le ho provate durante l’ascolto dell’Internazionale cantata in russo (l’originale è francese, la più famosa canzone socialista e comunista, inno dei lavoratori per eccellenza) e con le immagini di repertorio, perché naturalmente, ognuno di noi, rispetto ad esempio al 1978, con il rapimento di Aldo Moro e il suo assassinio, ci ricordiamo dove eravamo e cos’era l’impegno e la passione nascenti, per la Politica. (Io ero in seconda superiore e ricordo mia mamma che venne di corsa a prendermi a scuola per riportarmi a casa (senza successo), perchè sapeva che avrei organizzato e sarei andata alla manifestazione spontanea in Piazza Fontana a Milano, (tra l’altro altro luogo simbolo e indelebile del ricordo della nostra Storia, non ricordato nel film perché accaduto nel 1969 e che secondo me, rappresenta un grande punto di svolta per la lotta democratica e operaia, in Italia).

Le figure politiche di “contorno” a Berlinguer a volte mi sembrano macchiette, come quella di Armando Cossutta, sempre rappresentato e ricordato come il filo-sovetico che se ne va abbacchiato quando Berlinguer gli dice che non vuole più le sovvenzioni dal partito comunista sovietico. La mancanza di figure emblematiche del PCI come Pajetta, ad esempio e poi, sulla “descrizione” da passacarte di segreteria di Tonino Tatò, senza ricordare di ciò che invece ha rappresentato come protagonista insieme a Berlinguer della politica, del sindacato, dell’informazione del partito e per il cambiamento “dell’immagine”, del personal branding, diremmo ora, di un leader politico/influencer. (Ricordate le immagini diventate cult, di Roberto Benigni che prende in braccio Berlinguer alla Festa de L’Unità?) …

Berlinguer e la sua “squadra”, seppur con le contrarietà delle “correnti” interne e del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), non si è fermato davanti all’ambizione di poter cambiare le cose a favore della collettività, rappresentando la forza di un contesto contrario all’ambizione personale (come accade ora). Come Segretario negli anni settanta del più importante Partito Comunista del mondo occidentale, (oltre un milione e settecentomila iscritti, con più di dodici milioni di elettori), ha sfidato i dogmi della guerra fredda e di un mondo diviso in due.

Nel film viene raccontato un pezzo di questa sfida al potere e la storia di un uomo e di un popolo legati dal punto di vista privato e collettivo, con il tentativo svolto per cinque anni di andare al governo, aprendo a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana, arrivando a un passo dal cambiare la storia del nostro Paese. Dal 1973, quando sfuggì a Sofia all’attentato dei servizi bulgari, passando attraverso le campagne elettorali e i viaggi a Mosca, con le copertine a lui dedicate, dei giornali di tutto il mondo.

La Storia la fanno i popoli, i leader ma soprattutto le persone che, messe in secondo piano dagli avvenimenti, sono invece nella realtà i fautori reali del cambiamento, come ho detto a Giovanna Tatò, nell’intervista/recensione completa, che trovate di seguito, pensando al suo papà, che i miei genitori e io stessa abbiamo ammirato tantissimo e non come figura nell’ombra e che lei racconta nel suo libro “Porte chiuse“, dedicato alla storia dei suoi genitori… E che dire di sua mamma, Erminia Romano, Direttrice d’orchestra negli anni ’50 e ’60, quando le donne non potevano neanche pensare di poter fare questa e tutte le attività prettamente maschili, che ha dimostrato la sua grande forza e determinazione …

Dice Giovanna: “Le porte chiuse sono quelle che ha trovato mia madre nel corso della sua vita professionale”. Giornalista sia di carta stampata (ha lavorato per La Repubblica e per L’Espresso) che televisiva (ha condotto programmi Rai e in Rai ha lavorato per 22 anni, anche come inviata speciale all’estero), porta la sua testimonianza e con me, condivide il fatto che bisogna continuare a testimoniare la storia de persone che non ci sono più ma che hanno lasciato i più grandi insegnamenti di vita alle nuove generazioni e dalle quali la Politica, l’Informazione, l’Arte, dovrebbero prendere esempio.

Di seguito il video dell’intervista, che trovate sul mio canale You Tube, per il programma tv Mimose Time e sui social anche di Giovanna Tatò.

 

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