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Alviero Martini, lo stilista si dissocia dall’azienda che porta il suo nome e racconta una realtà ben diversa da quella annunciata sulle cronache

Alviero Martini, lo stilista si dissocia dall’azienda che porta il suo nome e racconta una realtà ben diversa da quella annunciata sulle cronache

A cura di Biagio D’anelli

B.D. – Come hai appreso la notizia del commissariamento dell’azienda Alviero Martini S.p.A.?

A. M. – “L’ho appresa dal web e sono rimasto sbalordito, perché l’agenzia Ansa, e non solo, riportava la notizia attribuendo il tutto ad Alviero Martini e non all’Alviero Martini S.p.A. Mi sono ovviamente spaventato e disgustato. Ancora una volta il giornalismo “sfrutta” il nome e non l’azienda, e questo perché il nome fa più audience. Poi ho capito che il loro passo falso era una carta vincente per giustificare, ma soprattutto per smentire la notizia diffamante.”

B.D. -Tutto questo che cosa a che vedere con te?

A.M. – “Tutto questo evidentemente non ha nulla a che vedere con me. Dal 2005 io non faccio più parte dell’azienda, l’ho venduta, mi sono allontanato, anzi, con un verbale di assemblea sono stato allontanato perché ritenevano di non aver più bisogno dei miei servizi. Da allora non abbiamo mai più avuto rapporti di lavoro, se non delle beghe legali che sono succedute negli anni per via del patronimico, perché io mi chiamo Alviero Martini, e loro hanno mantenuto nel marchio il mio nome e cognome. L’azienda si chiamava e si chiama Alviero Martini S.p.A., ma non sono più io. Attraverso la magistratura abbiamo tentato di cancellare questo “dualismo”, ma purtroppo non ci siamo riusciti. Evidentemente l’azienda, che ripeto, ad oggi con me non ha più nulla a che vedere, è molto forte, ho persino perso la causa, e la decettività del marchio non è caduta. La mia battaglia legale per riacquisire il patronimico continua, e non intendo fermarmi, perché Alviero Martini sono io.”

B.D. – In passato quando stavi a capo dell’Alviero Martini S.p.A. dove producevi i tuoi accessori e i tuoi capi di abbigliamento?

A.M. – “Dal ’90 al 2001 quando ho avuto il controllo dell’azienda era tutto assolutamente Made in Italy e per questo ho ricevuto anche onorificenze, meriti e trofei. Dopodiché, quando sono entrati i soci che poi sono diventati di maggioranza, con un aumento di capitale, per un certo lasso di tempo hanno seguito le mie orme, le mie intenzioni, che erano quelle di diventare una maison come Louis Vuitton, come tutte le maison di moda e invece, poi ho scoperto, che nel loro progetto c’era un altro percorso, che era quello del “prezzo basso” per cui hanno cominciato a produrre in Bangladesh, in Cina, insomma, dove era più conveniente. Comunque mai avrei immaginato che fossero arrivati a questo punto, balzando agli occhi della cronaca, raccontando e mostrando oggi uno scenario disastroso fatto di laboratori clandestini con persone sottopagate. Non posso far altro che dissociarmi totalmente da questa frode, perché non solo non mi appartiene, ma sono contro per etica, morale e volontà.”

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