La ricerca e l’impegno di Novartis: “Frenare la malattia e migliorare la qualità della vita” Alla ricerca di nuove terapie che migliorino l’efficacia a lungo termine dei trattamenti contro la leucemia mieloide cronica. Novartis ha presentato i primi risultati di uno studio sperimentale che ha l’obiettivo di soddisfare le richieste di quei pazienti che, affetti da questa rara forma di tumore del sangue responsabile del 15% del totale dei casi di leucemia, lamentano lo sviluppo di farmacoresistenza o di intolleranza alle terapie di prima e seconda linea a base di inibitori tirosin-chinasici, che riducono la proliferazione di globuli bianchi nel midollo osseo. La presentazione dei dati è avvenuta a Milano nel corso dell’evento tematico “Una nuova frontiera per la leucemia mieloide cronica”.Il nuovo farmaco ha fin qui mostrato di poter migliorare significativamente la qualità di vita dei malati e per la prima volta viene rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale. Ma quali sono le caratteristiche che differenziano questa terapia in sviluppo dalle precedenti?
“Stiamo parlando di un inibitore delle tirosin-chinasi che ha un’azione specifica verso la chinasi BCR-ABL, fondamentale per la patogenesi della leucemia mieloide cronica”, ha spiegato il prof. Fausto Castagnetti, docente di Ematologia all’università di Bologna e tra i relatori della conferenza indetta da Novartis. “Ha un meccanismo d’azione innovativo rispetto agli altri inibitori già provati, perché lega sempre la chinasi bersaglio, ma in un sito diverso rispetto a quello legato dagli altri farmaci”.
A renderlo interessante è però anche un altro aspetto. “La sua scarsa tossicità fa sì che sia utilizzabile in una grandissima fetta di pazienti colpiti dalla malattia”, ha continuato il prof. Castagnetti. “Al momento è un farmaco che viene approvato per la terza linea, ma proprio per la sua specificità d’azione e per il suo potenziale d’impiego è in sperimentazione nelle fasi più precoci della leucemia mieloide cronica”.
LE TERAPIE ESISTENTI
Si stima che a fare esperienza di questa patologia siano circa 9mila persone in Italia, la maggior parte delle quali uomini over 60. “Abbiamo una media di 900 nuovi casi ogni anno”, ha specificato il prof. Fabrizio Pane, ematologo dell’università “Federico II” di Napoli. Il docente si è soffermato anche sull’evoluzione storica delle terapie utilizzate fino a oggi per contrastare il progredire della leucemia mieloide cronica.
“È stata la prima neoplasia umana per cui è stata identificata un’alterazione cromosomica specificatamente associata e causativa della patologia. Di lì in poi sono nati farmaci a bersaglio molecolare che vengono somministrati per via orale e che sono molto più tollerati della chemioterapia. Nonostante questo, possono determinare episodi di intolleranza ed effetti collaterali a breve termine; basti pensare che tra tutti i pazienti che iniziano il trattamento con i farmaci di prima e seconda linea, dopo un certo numero di anni circa il 40% ha interrotto le terapie. Per una porzione di questo 40% il motivo della sospensione è stata proprio la ridotta tollerabilità”.
Questo fattore è tra le principali criticità rilevate e lamentate dai malati, che però nel tempo hanno visto migliorare nettamente la loro speranza di vita. A testimoniarlo è stato Felice Bombaci, coordinatore nazionale del Gruppo pazienti leucemia mieloide cronica di AIL – Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma attivo dal 2009. “La malattia mi è stata diagnosticata nel marzo del 2000 e allora l’aspettativa era dai 3 ai 5 anni. Non c’erano ancora farmaci basati su inibitori tirosin-chinasici, l’unico trattamento possibile era il trapianto di midollo. Partecipai a uno studio clinico che stava sperimentando le prime terapie orali. Oggi invece, grazie alla ricerca, gli ematologi hanno nuovi farmaci da poter proporre e la speranza di vita è la stessa della popolazione generale”.
Alle parole di Bombaci si è accodato il prof. Pane. “Oltre a garantire la lunga sopravvivenza di chi affronta la malattia, un obiettivo del trattamento è restituire il paziente a un normale ritmo di vita, ai suoi affetti, al suo lavoro, ai suoi hobby”. Una meta che Novartis punta a raggiungere proprio grazie alla terapia in sviluppo, accolta con entusiasmo dagli ematologi. A raccontarlo è il prof. Massimo Breccia dell’università “La Sapienza” di Roma.
“Il GIMEMA – Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto ha condotto una survey a cui hanno aderito oltre 70 istituti ematologici. I dati dimostrano non solo che la gran parte dei clinici italiani conosce il farmaco e il meccanismo d’azione, ma soprattutto che è pronta a usarlo. L’89% di loro è favorevole a utilizzarlo in terza linea dopo vari approcci terapeutici”.
La soddisfazione per questi risultati preliminari è evidente nelle parole di Paola Coco, CSO & Medical Affairs Head di Novartis Italia: “Da oltre venti anni siamo in prima linea per trasformare il paradigma terapeutico nel campo della leucemia mieloide cronica. Questo nuovo farmaco è solo l’ultima testimonianza di questo impegno”.
LA DISPONIBILITÀ DEI FARMACI
Oltre all’interesse nel frenare la progressione della malattia e nel raggiungere una buona qualità di vita, i pazienti mirano anche ad altre conquiste che al momento sembrano ancora distanti. “Come membri di AIL chiediamo che in tutte le regioni siano disponibili i farmaci contro la leucemia mieloide cronica, perché oggi non è così”, ha sottolineato Felice Bombaci. “Manca una piena attuazione dell’art. 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute. Un altro aspetto per nulla secondario è la lotta che portiamo avanti affinché sia garantito il diritto all’oblio. Di una leucemia, oggi, si può anche vivere e tutto questo grazie alla ricerca, che ci ha dato e continua a darci la possibilità di tornare a essere persone, non più solo pazienti”.
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